“L’inquinamento del pianeta è solamente una riflessione esterna di un inquinamento psichico interno: milioni di individui che non si prendono la responsabilità del loro spazio interiore.”
Eckhart Tolle, 1999. The Power of Now. Yellow Kite, 2016.
Il cambiamento climatico e lo sfruttamento di risorse sono dei temi estremamente attuali, che suscitano interesse in me. Infatti mi stupisce che il consumo all’interno della nostra società sia strutturato in modo tale da non tenere in considerazione le sue ripercussioni a livello ambientale, e dunque neanche le conseguenze che inevitabilmente ricadranno sul genere umano.
Secondo un corpus di ricerche scientifiche sul clima, se si andrà avanti di questo passo, la temperatura media globale si alzerà ulteriormente e comprometterà l’agricoltura di massa del grano e del riso, inoltre porterà alla perdita di barriere coralline e di conseguenza a un drastico calo della produzione ittica, e molto altro. Le ripercussioni di questo cambiamento sarebbero fatali per la maggior parte della popolazione terrestre. Sebbene l’argomento climatico venga quotidianamente affrontato dai mass media, pare che la società ancora non riesca a coglierne la portata drammatica, e per questa ragione sono pochissime le persone che scelgono una vita sostenibile; molti negano persino che sia in atto un cambiamento, nonostante le prove evidenti.
La trasformazione di cui parlo ha origini molto antiche, che possiamo far risalire all’invenzione dell’agricoltura e dell’allevamento di bestiame come fonte di cibo sicura e costante; poi seguì una lunga serie di innovazioni che ha modellato il nostro pianeta, passando per la rivoluzione industriale e arrivando fino alle bombe nucleari che, com’è noto, sono la causa degli isotopi adesso presenti in natura. Con le sue azioni, l’uomo ha segnato così profondamente la Terra che è possibile trovare le traccedel suo passaggio persino negli strati geologici, portando alla creazione di una nuova era geologica: l’Antropocene. L’essere umano ha modificato radicalmente l’ambiente circostante, arrivando a influenzarne il clima in un modo che potrebbe persino risultargli fatale.
Con la mia tesi vorrei muovere una critica contro lo sfruttamento ambientale, mostrando un ipotetico futuro in cui la vegetazione non cresca più perché la natura è stata privata di ogni sua energia: sarebbe il risultato dell’Atropocene. Sarà un racconto
visivo, di tipo fantascientifico, che discuta un possibile ed estremo risultato degli attuali atteggiamenti umani verso il pianeta Terra, poiché è vero che il cambiamento climatico non intacca ancora il nostro stile di vita, tuttavia potrebbe accadere presto qualora il sovrasfruttamento delle risorse non venisse smorzato.

Desidero inoltre puntare il dito contro il rapporto malsano che l’uomo ha instaurato con la natura, prosciugandone ogni risorsa, pretendendo costantemente senza dare (quasi) mai nulla in cambio; lo farò attraverso l’immagine di paesaggi aridi e privi di vegetazione, in cui l’unica pianta è usata dal protagonista come fonte e sostentamento della vita: un simbolo della nostra dipendenza dalla natura e, nel contempo, del suo sovrasfruttamento. Ho scelto di focalizzare il cambiamento climatico sull’assenza di piante per ricordare quanto sia importante la loro presenza; il cambiamento è anche causato da una deforestazione massiccia che sta da tempo provocando un aumento di anidride carbonica e quindi l’effetto serra, per questo motivo si potrebbe ricercare nella vegetazione una soluzione per salvaguardare l’attuale minaccia all’ecosistema.
Nell’ipotetico futuro che racconto, l’assenza di piante è causa e sintomo di una drastica modifica dell’ecosistema terrestre: in breve tempo, l’aumento di
anidride carbonica riporta il clima come nel Pliocene, cioè con una temperatura media più alta di 2-4 gradi, la quale comporta un aumento del livello del mare di 20 metri; ma il cambiamento non si arresta, innalzando poi le temperature di 13 gradi come erano nell’Eocene.
Questo nuovo clima porta una crisi globale, oltre alla mancanza di risorse l’uomo non è più in grado di sopravvivere alla nuova composizione dell’aria, nel giro di pochi giorni anche le forme di vita animali decedono, una piccola élite di scienziati riesce in questo breve tempo a sopravvivere grazie alle tecnologie sviluppate delle stazioni spaziali, trovano rifugio al loro interno e riescono ricreare un ambiente momentaneamente stabile sulla terra. Attraverso l’elettrolisi ricavano l’ossigeno necessario, ma questo non basta a lungo termine, le risorse alimentari accumulate finirebbero. Per continuare a sopravvivere recuperando il materiale usato nello studio per vivere su Marte, raccolgono le piante trattate e anno dopo anno rendono la base auto sostenibile.
Per avere una coltivazione stabile senza i problemi del nuovo clima viene messa in atto una coltivazione idroponica che permette di far crescere piante e verdure fuori dal suolo, in qualsiasi condizione, all’aperto o al chiuso, in verticale o in orizzontale.
L’obbiettivo principale di vita diventa l’adattamento, gli scienziati passano le giornate a rendere la base funzionale ed efficiente: implementando le serre, migliorando i pannelli solari e le tecnologie per l’elettrolisi.
Dopo aver reso la base stabile lo step successivo consiste nell’esplorare il nuovo ambiente, quindi nasce la necessità di progettare una tuta che permetta di sopravvivere fuori dalla base in maniera autonoma, con lo scopo di raccogliere materiale di studio per comprendere il cambiamento avvenuto dalla morte della vegetazione.

Con questo racconto desidero dunque mostrare come la nostra era geologica, ovvero l’Antropocene, potrebbe finire, sperando di portare le persone a riflettere sulle loro azioni quotidiane, su cosa possono fare concretamente per migliorare la situazione attuale ed evitare che essa degeneri in un ambiente ostile che non sia più possibile chiamare “casa”, ma anche incentivare uno sguardo interno a noi stessi, al malessere che proviamo quotidianamente in una realtà che prende molto più di quello che dà. 
“ Fa’ diventare il mondo più bello. Dovresti lasciare il mondo più bello di come l’hai trovato quando sei nato;
allora avrai reso
un contributo all’esistenza.”

Osho, The Dhammapada: The Way of the Buddah, VOL. II CAP.8
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